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La vita di Giorgio Montini

Giorgio Montini conosceva bene la valle del Mella. Ogni estate si trasferiva con la famiglia dalla casa di via Grazie di Brescia in quella di Concesio. Nella grande casa di campagna, un tempo proprietà dei conti di Lodrone, trovava ad accoglierlo la madre, Francesca Buffali.
Fanciulla “di non comune bellezza”, nel 1857 aveva sposato Lodovico Montini, un medico che in giovane età aveva partecipato alle Dieci Giornate affascinato dagli ideali di libertà e di indipendenza e poi era diventato uomo di spicco del mondo cattolico bresciano. L’unione fu sfortunata: Lodovico mori ad appena quarantun anni stroncato da una malattia (1871), mentre Francesca era in attesa della piccola Maria. Fu un duro colpo per la donna che si ritrovò all’ improvviso sola con sei piccoli da crescere. Oltre alla bimba ancora nel grembo materno, c’erano Giorgio, Elisabetta, Giuseppe, Agnese, Paolina ad aver bisogno di cure. Sei piccoli da far studiare fino alla laurea secondo la tradi­zione familiare non era poca cosa anche per una famiglia che possedeva un ricco patrimonio come quello Montini Buffali e Francesca fu costretta a vendere parte dei terreni della cospicua proprietà. In un periodo di difficoltà ancora più gravi la donna dovette vendere perfino i libri di medicina del marito. Se venne meno parte dei beni materiali a Francesca Buffali non mancarono mai gli affetti, accanto a lei figli e nipotini crescevano in un clima di profondo amore familiare e di fede intensa.
Nel 1895 Giorgio Montini sposò la dolce e graziosa Giuditta Alghisi. Se ne era innamorato durante il viaggio a Roma dei cattolici bresciani per il giubileo episcopale di Leone XIII. La ragazza, unica e sfortunata erede di una famiglia di nobile casato di Verolavecchia, era rimasta orfana di padre e di madre in giovane età. Suo padre Gian Battista era stato magistrato, la madre Orsolina Rovetta discendeva da una distinta famiglia bresciana, ma la morte se li portò via quando ancora erano nel pieno degli anni. La piccola Giuditta fu affidata alle cure della zia Catina Rovetta, donna di saldissima fede cattolica. Quando venne a sapere dell’amore per il giovane Montini, un uomo che portava avanti con forza i valori del cattolicesimo, manifestò la sua gioia. Di parere opposto fu invece il tutore della giovane Giuditta, Giuseppe Bonardi, convinto seguace del liberalismo zanardelliano. Del matrimonio della sua protetta con un cattolico non ne volle mai sapere e solo alla maggiore età la ragazza potè seguire le vie del cuore e sposare il trentacinquenne Giorgio.
Dopo il primo anno di matrimonio nacque Lodovico, l’anno dopo in casa Montini arrivò un altro fiocco azzurro, quello portato da Giovanni Battista Enrico Antonio Maria. Giuditta aveva preferito fermarsi a Concesio, trasferirsi con il calesse nella villa del Dosso di Verolavecchia dove era nata e dove era solita andare con la famiglia nella tarda estate poteva comportare dei rischi. E pensò di non affaticarsi nel viaggio; sapeva di essere al sicuro accanto alla mamma Francesca e alla zia Maria, vestali attente e premurose.

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